Chissà se in un futuro dibattito sulla riforma dello Stato sociale si parlerà anche delle pensioni di guerra!
A più di cinquant’anni dall’ultimo conflitto, l’attenzione su queste rendite, passate più o meno indenni tra le “burrasche” che hanno travagliato in questi anni i pianeti della previdenza e dell’assistenza, sembra essersi spenta.
Eppure, la riconoscenza che il la nostra Patria porta a chi, vestito in grigio verde ha difeso la nazione, riportando lesioni o infermità fa sì che – a distanza di più di 60 anni – si paghino pensioni di guerra ed indennità simili a centinaio di migliaia di italiani (secondo i dati ISTAT superano le 230 mila unità) e che il tutto costi alle casse dello Stato un bel mucchio di quattrini.
Precisiamo subito: spesso i beneficiari di queste pensioni non sono veri e propri reduci perché questa pensione spetta, oltre che ai militari ed agli appartenenti ai corpi assimilati alle forze armate, anche ai civili quando, per fatti bellici, abbiano riportato lesioni o infermità tali da incidere sulla loro capacità lavorativa.
Nel frattempo sono in arrivo per queste pensioni i soliti aumenti d’inizio d’anno!
L’incremento è del 2,12 per cento in più rispetto alle misure vigenti lo scorso anno. L’aumento non riguarda solo le pensioni di guerra, ma anche gli assegni corrisposti ai grandi invalidi e a chi ha conquistato sul campo medaglie, croci di guerra e decorazioni di altro genere.

Un approfondimento sul tema e le tabelle aggiornate nel N° 143 di Previdenza Flash.

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